RIFIUTI: GESTIRLI O SPEDIRLI? Il trasporto ferroviario è più sostenibile ma non risolve il deficit impiantistico

Nell’evoluzione del settore italiano dei rifiuti è comparsa recentemente una buona notizia: crescono i trasporti su ferro, con nuove tratte e servizi. Ma siamo sicuri che sia veramente una novità positiva? Certamente il trasporto su ferro invece che su gomma riduce impatti e rischi e dovrebbe quindi rendere le attività di waste management nel complesso più sostenibili.  

Ma più sostenibile ancora sarebbe non aver bisogno di far viaggiare i rifiuti, disponendo delle infrastrutture e degli impianti necessari in prossimità dei bacini di raccolta. Questo, oltretutto, prevede la normativa nel caso dei rifiuti urbani.

Aumentano, invece, di anno in anno i quantitativi di rifiuti trasferiti, in particolare quelli inviati all’estero. Nel 2020 l’Italia ha esportato circa 581.000 tonnellate di rifiuti urbani, aumentati del 13% rispetto all’anno precedente, mentre nel 2019 le tonnellate di speciali esportate sono state 3,9 milioni, con un incremento del 13,4% rispetto al 2018 (fonte: ISPRA). In entrambi i casi, Austria e Germania sono tra le destinazioni principali. Significativo è poi anche il trasporto interno tra regioni, che, per i soli rifiuti urbani, si attesta ogni anno intorno a circa 2,8 milioni di tonnellate (fonte: Utilitalia).

In questo contesto, è stata recentemente annunciata da Mercitalia Rail, controllata di Trenitalia che insieme alla controllata TX Logistik si occupa dei servizi di trasporto cargo, la realizzazione di nuove linee per il trasporto rifiuti e il potenziamento di alcune di quelle già esistenti. Da una parte, sarà ampliata significativamente la capacità di trasporto ferroviario per la tratta Marcianise (CE)-Catania, così come anche i collegamenti tra il Veneto e le piattaforme del Meridione, e saranno avviati quattro nuovi collegamenti per il trasporto della carta da macero tra la zona della Lucchesia, sede di un significativo distretto cartario, e il Piemonte.

Figura 1. Le principali rotte del trasporto dei rifiuti dall’Italia.

                                                                                                                                                                                          Fonte: Mercitalia, dicembre 2020

Nella prima parte del 2022, inoltre, l’azienda intende ampliare i propri servizi di trasporto ferroviario di rifiuti tra il Sud Italia e i Paesi Bassi, mediante la messa in funzione di venti ulteriori treni. La maggior parte si troverà lungo le tratte con partenza da Maddaloni (CE), già oggi importante snodo per le rotte dei rifiuti indirizzati verso Austria e Germania (Figura 1), e le rimanenti da Civitavecchia (RM).

La decisione di incrementare e potenziare il trasporto ferroviario dei rifiuti è certamente positiva e sono numerosi i benefici ottenibili, ambientali e logistici, dalla riduzione delle emissioni di CO2 al minor traffico delle merci su strada. Questo soprattutto per i trasporti interni tra i bacini di raccolta delle materie prime seconde e gli impianti di riciclo esistenti, come è il caso delle cartiere. Viceversa, puntare sul trasporto dei rifiuti tra regioni e verso l’estero come alternativa alla mancanza di impianti in alcune aree del Paese pare una soluzione di breve respiro. Ne risultano infatti costi economici ed ambientali significativi, piuttosto che benefici, contribuendo a procrastinare invece che affrontare e risolvere il problema dell’adeguatezza del parco impianti.

È dunque paradossale che, a fronte dell’avvio di nuove tratte all’export dei rifiuti in partenza dalla Campania, si manifestino opposizioni all’avvio del biodigestore di Napoli Est, che ridurrebbe la necessità di ricorrere ad impianti esterni alla regione.

Il deficit impiantistico, sia nel trattamento per il recupero/riciclo che per la termovalorizzazione genera, come è noto, costi e disfunzioni per il sistema. Si registrano così, da un lato, una spesa ulteriore per gli utenti (stimata in 75 euro aggiuntivi sulla Tari dei cittadini, per un ammontare complessivo di oltre 140 milioni di euro) e, dall’altro, sanzioni da parte dell’Unione Europea (circa 70 milioni di euro) per l’eccessiva quantità di rifiuti che attraversano il Paese (fonte: Utilitalia).

Il parco impianti italiano, come noto, necessita da tempo di un revamping delle strutture esistenti e della costruzione di nuove in diverse aree in deficit, situate soprattutto nel Sud e nel Centro Italia. Ad esempio, l’analisi di adeguatezza dei termovalorizzatori al 2035 condotta dal think tank WAS a partire dai dati 2020 vede, a fronte di oltre 10 milioni di tonnellate di rifiuti da incenerire (scenario di Bassa Produzione, BP), un deficit di poco più di un 1 milione di tonnellate, con le sole regioni del Nord a registrare un surplus e la Sicilia, di contro, che segna un deficit importante (Figura 2).

Figura 2. Adeguatezza dei termovalorizzatori in Italia al 2035 nello scenario BP

Fonte: Althesys su dati ISPRA e dei gestori degli impianti

Gli ostacoli che impediscono la realizzazione delle infrastrutture necessarie sono però molteplici e spaziano dall’assenza di una pianificazione nazionale all’impiego inefficiente e/o fuori tempo massimo dei fondi europei, dai tempi amministrativi ai fenomeni NIMBY (Not In My Back Yard), a volte causati anche dalla mancanza di trasparenza e comunicazione verso gli attori coinvolti.

Solo nel 2017, anno del censimento più recente del fenomeno in Italia, si stimava che il 36% delle opposizioni sociali riguardasse il settore del waste management, con discariche per rifiuti urbani (8,5%) e termovalorizzatori (8,2%) gli impianti più contestati (fonte: Nimby Forum).

Peraltro, una spinta per colmare il deficit impiantistico e i divari ancora esistenti sul territorio sarebbe potuta arrivare dai finanziamenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Il PNRR italiano, tuttavia, esclude dall’elenco delle iniziative finanziabili anche i termovalorizzatori sulla base del principio “Do Not Significant Harm” (DNSH). Il rischio è anche di bloccare la R&D e l’innovazione, per esempio, verso soluzioni di grandi potenzialità quali il waste to fuel e il waste to chemical.

Diversamente, ha agito la Francia, come visto anche nell’articolo di Staffetta Quotidiana dell’8 ottobre 2021. Il Plan national de relance et de résilience, infatti, pur tenendo presente il criterio DNSH, riconosce il ruolo del recupero di energia in quanto parte della gerarchia dei rifiuti dell’Unione Europea. In particolare, viene stabilito il finanziamento di azioni volte a migliorare la produzione di energia a partire dai rifiuti non riciclabili e la produzione di combustibile solido secondario (CSS), in quanto misure volte a ridurre la dipendenza dalle fonti fossili e le emissioni di gas serra. 

In conclusione, se il trasferimento su ferro dei rifiuti rispetto a quello su gomma può certamente migliorare la sostenibilità del waste management, non può costituire un’alternativa alla realizzazione degli impianti necessari. Oltre a comportare costi ingenti per i cittadini e penalizzare le imprese nazionali, aumenta i rischi di dipendenza dall’estero, come già l’Italia sta dolorosamente sperimentando in questo periodo nel comparto energetico.

È, invece, necessario puntare sul rinnovo e sull’ampliamento del parco impianti in un’ottica di medio-lungo periodo, disegnando un piano nazionale che indirizzi le strategie e gli investimenti nei prossimi anni. Ignorare il ritardo del Paese significa solo sprecare ulteriori risorse.