Materie prime critiche dai rifiuti, una strada ancora in salita

Le imprese del waste management da alcuni anni stanno spostando la propria attenzione dalle attività di raccolta a quelle di trattamento e riciclo di segmenti a maggior valore aggiunto, tra cui quelli di PET, materiali compositi, tessili e RAEE. Proprio questi ultimi rivestono un’importanza significativa nelle politiche comunitarie e nazionali, in quanto fonte di quelle definite “materie prime critiche” (MPC) dall’Unione Europea. Diversi player si stanno quindi muovendo su questo fronte, implementando nuove soluzioni e realizzando nuova capacità di trattamento. Anche in questo caso, come in altre aree di business del waste management, i nodi da sciogliere, tuttavia, non mancano.

Le materie prime critiche sono di importanza strategica per l’UE, essendo essenziali per le tecnologie di difesa e spaziali, nonché per promuovere la digitalizzazione e la transizione green. Per quest’ultima, ad esempio, gallio e germanio sono usati nella produzione di semiconduttori per i pannelli fotovoltaici, il boro grezzo nelle tecnologie eoliche, il litio per le batterie delle auto elettriche, etc. A partire dal 2011, la Commissione Europea ha quindi pubblicato periodicamente la lista delle MPC, il cui numero è aumentato ogni volta. Si sono infatti avute 14 MPC nel 2011, 20 nel 2014, 27 nel 2017, 30 nel 2020 e 34 nel 2023. La valutazione si è sempre fondata sull’evoluzione di due fattori principali: l’importanza economica e il rischio di interruzioni nella catena di approvvigionamento, dovute al fatto che sono prodotte in pochi Paesi, spesso a rischio sul piano geopolitico (Figura 1).

Figura 1. Principali fornitori globali e comunitari di materie prime critiche.

Fonte: Commissione Europea, 2023

Il numero delle MPC è destinato ad aumentare ancora nei prossimi anni, soprattutto sulla spinta della transizione energetica. Per questo motivo, le strategie comunitarie si stanno focalizzando sempre di più sulla diversificazione del loro approvvigionamento, in modo da evitare la dipendenza da altre nazioni. Una delle misure più recenti è il Critical Raw Material Act, presentato nel marzo 2023 e attualmente in discussione, che mira, tra le altre cose, a fissare un obiettivo al 2030 del 15% sul recupero di MPC dal riciclo. Target che gli Stati membri vorrebbero portare al 20%, mentre gli europarlamentari chiedono di fissare in alternativa un obiettivo del 10% per ogni singola MPC. In ogni caso, una volta approvato, i Paesi UE dovranno adottare specifici programmi volti ad aumentare la raccolta e il riciclo dei rifiuti contenenti materie prime critiche, così come l’impiego delle relative materie prime seconde.  

I RAEE, in particolare, sono una ricca fonte di MPC e i loro quantitativi sono in costante aumento. A livello globale, infatti, si stima che nel 2025 saranno immesse al consumo 75 milioni di tonnellate, che saliranno a 120 milioni nel 2050 (The Global E-Waste Monitor, 2020). Peraltro, in questo flusso di rifiuti si possono trovare concentrazioni molto maggiori di metalli preziosi e rari rispetto ai giacimenti minerari. Basti pensare che in un milione di telefoni cellulari, ci sono 24 chilogrammi di oro, 16.000 di rame, 350 di argento e 14 di palladio, mentre in una tonnellata di schede elettroniche, vi sono più di 2 quintali di rame, oltre 46 chilogrammi di ferro, quasi 28 di stagno e alluminio e circa 18 di piombo, oltre a quantità minori di argento, platino e palladio.

La gestione di questo tipo di rifiuti, che include beni aventi caratteristiche anche molto diverse tra loro, è da migliorare sotto diversi aspetti. In Italia, nel 2022 sono state gestite circa 361.380 tonnellate di RAEE, per un tasso di raccolta del 34,01%, in calo rispetto al 34,56% dell’anno precedente e ancora distante dal target europeo del 65% fissato dalla Direttiva 2012/19/UE, recepita dal D.Lgs. 49/2014. La situazione non è comunque troppo diversa negli altri grandi Paesi UE. Diversi operatori stanno quindi puntando, oltre ad aumentare la raccolta, sia ad ampliare la capacità di trattamento esistente, sia a sviluppare nuovi processi capaci di estrarre maggiori quantitativi di MPC e/o di migliore qualità.

In Francia, ad esempio, l’impianto di WeeeCycling in Normandia, tratta i rifiuti contenenti MPC generati da diversi settori per ottenere materiali che possano essere utilizzati direttamente dall’industria, senza che debbano essere mescolati ai materiali estratti, come di solito avviene. In Spagna, un altro caso è quello della società mineraria internazionale Atlantic Copper, che a Huelva sta realizzando quello che sarà il settimo maggior impianto su larga scala al mondo, e il quarto nell’UE, per estrarre materiali preziosi dai rifiuti elettronici. L’impianto avrà una capacità di trattamento di 60.000 ton/anno e si stima che ogni anno otterrà tra le 7.000 e le 8.000 ton/anno di rame, 1.000 ton/anno di stagno, 1.000 ton/anno di nichel e tra le 100.000 e le 200.000 once d’oro. Non mancano tuttavia fenomeni di NIMBY nella comunità locale.

Le iniziative sono diverse anche in Italia. Iren, ad esempio, ha in programma la costruzione del primo impianto italiano dedicato esclusivamente al recupero dei materiali preziosi e alle materie prime critiche in Valdarno, mentre Cobat intende realizzare una eco-factory in Abruzzo per il recupero di litio e materiali preziosi da batterie e accumulatori a fine vita, provenienti da RAEE e auto elettriche. Ancora, Itelyum Regeneration ha ottenuto di recente l’autorizzazione per un impianto sperimentale che recupererà terre rare dai RAEE, da installare all’interno dell’impianto di rigenerazione di oli minerali usati per la produzione di oli di base lubrificanti rigenerati, gasoli e bitume di Ceccano (FR).

Diversi operatori del settore WM, tuttavia, hanno già segnalato la mancanza di condizioni fondamentali per riuscire a realizzare un parco impianti adeguato sul territorio italiano. Innanzitutto, l’industria nazionale si limita solo ad un primo trattamento dei RAEE raccolti, che mira a recuperare metalli come ferro, rame e alluminio rispetto alle MPC, in genere più difficili da estrarre. In secondo luogo, i tempi per avere i permessi per costruire gli impianti sono piuttosto lunghi. In alcuni casi, sono occorsi ben 3 anni contro i circa 12 mesi stimati dalla Commissione Europea per il rilascio delle autorizzazioni per progetti strategici di riciclo. A questi, si aggiunge la necessità di snellire il meccanismo per l’attribuzione della qualifica di end of waste ai materiali recuperati dal trattamento avanzato.

Una ulteriore complessità, infine, è dovuta al fatto che il flusso dei RAEE è sempre più legato a quello di pile e accumulatori, con diverse problematiche nel disassemblaggio e, in generale, nella gestione a fine vita e nelle disposizioni normative. Il PNRR, ad esempio, ha incluso i progetti relativi ai RAEE tra quelli “faro”, ma non ha compreso la stretta relazione tra RAEE e batterie, escludendo dal finanziamento almeno un progetto per la realizzazione di un impianto per il trattamento delle batterie al litio.

Nel complesso, per far fronte alla sfida rappresentata dal recupero delle MPC dai rifiuti serve quindi un ripensamento dei normali processi di trattamento e, anche in questo caso, una visione di lungo periodo da parte dei policy maker, capace però di adattarsi ad uno scenario estremamente variegato e mutevole come è quello dei RAEE.