Lo schema di decreto EPR per i tessili: punti chiave e criticità  

Lo schema di decreto EPR per i rifiuti tessili, predisposto dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) il 2 febbraio scorso, ha da poco terminato la fase di consultazione. Il documento, benché ancora in fase di lavorazione, mostra vari spunti interessanti ma anche possibili criticità, alcune già segnalate dagli operatori del settore. Oltre al confronto con la realtà italiana, un’analisi utile può essere svolta facendo riferimento anche alla Francia, che già dispone di un sistema EPR consolidato, a cui partecipano oltre 6.000 aziende e che raccoglie ogni anno circa 240.000 tonnellate di beni, coprendo intorno al 74% della popolazione.

Le disposizioni italiane si applicano “ai soggetti della filiera dei prodotti tessili che producono e immettono sul mercato le categorie di prodotti finiti di abbigliamento, calzature, accessori, pelletteria e tessili per la casa indicati nell’Allegato I”, che esclude, tra gli altri, materassi e giocattoli. Lo scopo vorrebbe essere quello di rendere il flusso di rifiuti il più omogeneo possibile, considerando beni percepiti come simili dai consumatori. Allo stesso modo, nel caso francese, il sistema di gestione ReFashion, istituito nel 2008 con il nome Eco-TLC, suddivide i flussi di beni gestiti tra Abbigliamento (“Clothing”), che pesa nel 2021 per l’80% dell’immesso sul mercato ma solo per il 61% del venduto, Calzature (“Footwear”) e Tessili casalinghi (“Household linen”).

Concentrandosi sui prodotti finiti, non viene quindi considerata l’intera filiera a monte, che include i produttori di fibre, filati, tessuti, semilavorati, complementi di arredo e accessori per prodotti finiti. Resta così, in teoria, nelle mani di produttori e distributori che immettono per la prima volta sul mercato italiano la responsabilità di verificare che i propri fornitori operino riducendo il più possibile il proprio impatto ambientale. Questione ben più difficile da coordinare e monitorare nella pratica.   

I produttori sono tenuti ad istituire sistemi individuali o collettivi per l’adempimento dei propri obblighi, prevedendo una filiera multi-consortile. Ne consegue, sull’esempio di quanto già avviene nei settori di RAEE e RIPA, la creazione di un soggetto, il Centro di Coordinamento per il Riciclo dei Tessili (CORIT), per garantire e coordinare “il ritiro dei rifiuti conferiti al sistema di raccolta pubblico e presso i distributori in modo omogeneo sul territorio nazionale da parte dei sistemi individuali e collettivi, in proporzione all’immesso sul mercato dei produttori e nel rispetto del principio di concorrenza e non discriminazione”.

Lo schema di decreto mette al centro iproduttori di prodotti tessili” all’interno della filiera, rispetto ai sistemi di gestione. Pur riconoscendo l’importanza degli obblighi di finanziamento della raccolta pubblica, rimane fondamentale definire chiaramente il ruolo dei compliance scheme all’interno della filiera e stabilire requisiti minimi di qualità e quantità per i flussi di materiali, così da rispettare gli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e riciclo. Questa impostazione potrebbe portare, da un lato, all’uscita di flussi di materiali pregiati dal sistema EPR (in un settore dove già esistono fenomeni diffusi di illegalità), e, dall’altro, frenare la realizzazione di nuovi impianti di trattamento dei rifiuti tessili, limitando l’ingresso di operatori non attivi nei circuiti della raccolta pubblica.

Pare, invece, positivo che sia prevista una modulazione del contributo “in base ai criteri di prestazione ambientale dei prodotti tessili”, tra cui “la composizione materiale del prodotto, la complessità della composizione del capo, l’uso di fibre riciclate nella fabbricazione del prodotto e l’indice di riparabilità/riutilizzabilità”. Si tratta di un tema complesso, che in Francia è stato sviluppato negli anni e che oggi si fonda su tre obiettivi principali: estensione della vita utile, impiego di fibre riciclate da prodotti usati e impiego di fibre da beni recuperati. Ognuno di questi è definito da diversi criteri da soddisfare e con modalità che sono riviste annualmente da ReFashion mediante il confronto con gli operatori. Il contributo francese è calcolato in base al tipo di prodotto finito (Clothing, Household linen, Footwear, ciascuno a sua volta suddiviso in sottocategorie), della quantità immessa annualmente sul mercato e delle dimensioni dei prodotti venduti (Very small, Small, Medium, Large size items).

La progettazione eco-sostenibile riveste fondamentale importanza nello schema di decreto ed è una delle destinazioni principali del futuro contributo ambientale. Tra i benefici a cui si dovrebbe mirare vi sono l’impiego di fibre tessili naturali e di materiali biocompatibili, la riduzione di difetti di qualità, l’eliminazione di sostanze pericolose e il prolungamento della vita utile. Il documento rimane però generale, senza considerare che spesso la scelta di uno di questi fattori potrebbe comportare un trade-off rispetto agli altri in termini di impatti ambientali o di costi. Quest’ultimo è un aspetto importante per rendere competitivi i prodotti tessili sostenibili rispetto ai beni della fast fashion.

Un ruolo chiave nella filiera hanno poi gli utenti finali, ai quali, secondo lo schema, deve essere fornita una serie di informazioni. Innanzitutto, è prevista l’introduzione di un’etichettatura digitale dei prodotti che ne riporti caratteristiche, composizione e indicazione delle parti non tessili di origine animale. I produttori poi, anche attraverso i sistemi di gestione, sono tenuti ad assicurarsi che, al momento dell’acquisto, i consumatori siano informati riguardo all’eventuale riparabilità dei prodotti, ai luoghi presso cui l’utente finale può conferire i rifiuti tessili e le modalità del ritiro.

I produttori e i distributori che effettuano la vendita mediante mezzi di comunicazione a distanza (vendita online e televendita) sono soggetti al sistema EPR e, come tali, devono iscriversi al Registro dei produttori. Non sono però precisate le modalità di controllo, né è definito un quadro sanzionatorio adeguato; è solo stabilito che il MASE ne sia responsabile. L’articolo 19 stabilisce che siano applicate le sanzioni riportate nella Parte IV del D.Lgs. 152/06, che però differiscono per ogni sistema EPR esistente.

Conseguentemente, appare piuttosto elevato il rischio di free-riding legato alla mancanza di un referente per il recupero dei beni venduti online nel Paese. Un problema che il sistema francese ha risolto prevedendo che i retailer online di prodotti tessili siano tenuti a registrarsi a ReFashion. Una volta completato il processo, se conformi, ricevono annualmente il cosiddetto “numero EPR”, che dal 2022 sono tenuti a mostrare. Nel caso tale requisito non sia soddisfatto, il retailer viene escluso dalle liste di indicizzazione delle piattaforme online che utilizza. La norma, infatti, prevede di poter sanzionare direttamente l’azienda che gestisce la piattaforma per l’inadempienza del venditore ospitato.   

Per agevolare i consumatori nel conferire i rifiuti tessili, sono previste misure che facilitano lo stoccaggio presso i punti vendita. Per i distributori è infatti prevista la possibilità di deposito temporaneo prima del successivo invio a selezione e quindi a riuso-riciclo, presso i locali del proprio punto vendita e nelle “aree di pertinenza” definite dall’art. 185-bis del D.Lgs. 152/06. La possibilità diventa un obbligo al di sopra di determinate superfici di vendita in Comuni con determinate caratteristiche. Il deposito riguarda i rifiuti provenienti dai nuclei domestici, corrispondenti alle categorie acquistabili nel punto vendita, che possono essere conferiti in ragione di uno contro uno al momento dell’acquisto dei prodotti tessili.

Lo schema di decreto, pur prevedendo che i sistemi di gestione possano organizzare raccolte selettive, non esplicita chiaramente la possibilità che i rifiuti tessili raccolti dai distributori presso i punti vendita siano conferiti agli operatori scelti dai sistemi, generando ambiguità interpretative. Inoltre, stabilisce che il successivo conferimento avvenga nei Centri comunali, senza tuttavia dare disposizioni più precise, con il rischio quindi che i prodotti tessili raccolti siano inquinati dalla presenza di altri materiali. Situazione che porterebbe ad un aumento dei costi e che ne potrebbe prevenire in alcuni casi il riuso.  

Nel complesso, il provvedimento presenta luci e ombre. Sebbene alcuni punti siano in teoria condivisibili, altri sono ancora da definire più chiaramente per evitare fraintendimenti ed eventuali impatti negativi sulla filiera. Rimangono quindi spazi di miglioramento per creare un sistema EPR efficace. Alcuni spunti, come visto, possono essere forniti dall’esempio francese, ma si dovranno tenere presenti le peculiarità italiane, tra cui ad esempio l’importanza che già oggi riveste il mercato del riuso. Bisognerà trovare un equilibrio tra l’attuale configurazione dell’intera filiera tessile e gli obiettivi di riuso-riciclo, disegnando un sistema EPR sostenibile sia dal punto di vista industriale che ambientale.