L’industria fotovoltaica sta vedendo una forte crescita a livello europeo, trainata dalle strategie comunitarie rivolte alla transizione energetica e dalla progressiva diminuzione dei costi. Nel 2023, nei Paesi UE, sono stati installati impianti per 55 GW, arrivando ad una potenza totale disponibile di 263 GW. La capacità, in base a quanto previsto dagli obiettivi REPowerEU, è destinata ad aumentare esponenzialmente nei prossimi anni, per arrivare a 750 GW entro il 2030. Già prima di allora, visto che le prime installazioni fotovoltaiche risalgono agli anni 2000 e la vita utile di un impianto è di circa 25 anni, i volumi di rifiuti generati dalle dismissioni saranno sempre più consistenti. Progresso tecnologico e discesa dei costi ne accelereranno ulteriormente le dimensioni e i tempi.
Si tratta di una sfida senza precedenti per il settore del waste management, se si pensa che solo in Europa la quantità complessiva di materiali da smaltire potrebbe attestarsi tra le 60 e le 80 milioni di tonnellate entro il 2050 (fonte Solar Power Europe). Il tutto senza tener conto delle strutture portanti, che aumenterebbero sensibilmente tale ammontare. Tra i Paesi europei, l’Italia sarà il terzo per incremento dei rifiuti, dopo Germania e Paesi Bassi, con circa 1 milione di moduli da smaltire nel periodo tra il 2022 e il 2032 (fonte GSE). Viene quindi da chiedersi se esistano oggi tecnologie efficienti e un numero di impianti di trattamento adeguato a far fronte all’impennata dei quantitativi.
La norma di riferimento in Italia per la gestione dei pannelli fotovoltaici dismessi è il D. Lgs. 49/2014, relativo ai RAEE nel loro complesso, che distingue tra pannelli domestici, aventi potenza nominale inferiore a 10 kW, e quelli professionali, con potenza pari o superiore a 10 kW. Nel primo caso, i moduli a fine vita devono essere conferiti presso un centro di raccolta RAEE, con la responsabilità per il trasporto in capo al proprietario e il costo di smaltimento a carico del produttore. Se si tratta di pannelli incentivati, il GSE trattiene una cauzione di 10 euro per il loro smaltimento e, una volta effettuato, il proprietario è tenuto a fornire la documentazione che attesta il corretto smaltimento in modo da ricevere indietro la cauzione da parte del GSE. Un’altra possibilità, in base a quanto stabilito dal D. Lgs. 118/2020, consiste nell’adesione ad un sistema collettivo che si occupi interamente della gestione dei pannelli a fine vita.
I processi di recupero, tuttavia, presentano complessità, ad esempio, riguardo alla separazione dei componenti e all’ottenimento di materie prime seconde di qualità, che potrebbe essere inferiore rispetto alle materie vergini. Ciò si verifica soprattutto per il vetro, avente la quota maggiore in peso (ma non in valore) tra i componenti, che, per tale motivo, non può essere reimpiegato nella produzione di nuovi pannelli. Lo stesso avviene per il silicio, che può però essere utilizzato in fonderia. In termini di valore dei moduli, l’argento, pur costituendo appena il 3% in peso, incide per oltre il 40%, mentre, all’opposto, troviamo diverse materie plastiche non riciclabili, che possono impattare negativamente sull’ambiente.
Una volta separati i vari elementi, i moduli fotovoltaici sono generalmente riciclabili per il 95% del loro peso, una percentuale che può anche raggiungere il 98% impiegando le tecnologie più moderne.
I costi di dismissione di un impianto fotovoltaico possono differire significativamente da caso a caso, a seconda delle caratteristiche e della localizzazione della specifica installazione. L’analisi della documentazione per gli impianti che hanno richiesto la VIA nel corso del 2023 evidenzia, infatti, situazioni piuttosto differenziate. Non solo gli investimenti complessivi di dismissione spesso non sono proporzionati alla taglia, ma anche le voci considerate dagli operatori possono essere diverse, aggregando alcune voci di costo piuttosto di altre. Di conseguenza, non è sempre chiaro a quanto ammonti il costo di smaltimento unitario. La media di alcune fonti e dei pochi casi rilevati si aggira intorno ai 10-15 €/MW.
La situazione in Europa si sta intanto muovendo e sono diverse le possibilità e le iniziative che si stanno sviluppando.
In Francia, in particolare, nel 2018 Veolia ha aperto uno dei primi impianti europei interamente dedicati al recupero dei pannelli fotovoltaici, che nel 2023 ha gestito circa 4.000 tonnellate, con l’obiettivo di arrivare a riciclare tutti i moduli dismessi nel Paese e utilizzare l’esperienza nella costruzione di altri impianti in Francia e altre nazioni, tra cui Germania e Spagna. La struttura impiega la tecnologia sviluppata dalla società ROSI Solar, relativa ad un processo di pirolisi che consente l’isolamento di diversi metalli dalle celle. La società è coinvolta anche nel progetto denominato “ReProSolar”, finanziato in parte dall’UE con un contributo di 4,8 milioni di euro, che punta a dimostrare la fattibilità tecnica ed economica di una value chain relativa al recupero dei pannelli.
Anche in Italia, nei prossimi anni, si prevede la realizzazione di diversi impianti. Tra questi, ad esempio, l’impianto Iren per il recupero dei pannelli fotovoltaici da 5.000 tonnellate annue in provincia di Siena e quello promosso da Haiki Mines, Veritas e 9-Tech a Porto Marghera (VE) da 3.000 tonnellate annue, che è stato ammesso dal MASE a finanziamento PNRR tra i progetti “faro”.
Le attività in questo ambito sono anche spinte dalle strategie di sviluppo dell’economia circolare di molti operatori di waste management e dagli obiettivi europei di “de-risking” per le materie prime critiche attraverso l’aumento del recupero. L’UE, infatti, prevede che il consumo annuale di tali materiali provenga, entro il 2030, per il 25% da materiali riciclati. Valore che ha visto un incremento significativo rispetto al 15% originariamente proposto.
Tuttavia, come spesso accade nel settore del waste management, pare vi sia il rischio di un consistente squilibrio tra domanda e offerta di capacità di trattamento. Questo potrebbe assumere dimensioni significative in tempi relativamente brevi, considerato che diversi player energetici hanno già avviato programmi di revamping-repowering degli impianti, anticipando di fatto la dismissione di quelli esistenti rispetto alla vita utile originariamente prevista. Progresso tecnologico, con consistenti aumenti di efficienza, e costi calanti ne sono le principali ragioni.
Peraltro, le diverse iniziative e gli operatori si stanno muovendo in un contesto in cui mancano una strategia nazionale e una programmazione di medio-lungo periodo. Prerogative ancor più necessarie per scongiurare una potenziale situazione di emergenza nei prossimi anni. Insomma, una sfida a tempo, per la quale il redde rationem si sta avvicinando rapidamente.