Impianti minimi: come uscire dall’empasse nel settore della Forsu?  

Il sistema degli impianti minimi, che prevedono flussi di rifiuti garantiti a fronte di una determinata remunerazione, è stato introdotto da ARERA con la deliberazione 363/2021. La misura, nelle intenzioni dell’Autorità, mirava a favorire la costruzione e il revamping degli impianti di trattamento, soprattutto nelle aree in deficit del Centro-Sud, riducendo il ricorso alla discarica. L’applicazione da parte delle Regioni, tuttavia, non ha seguito criteri omogenei nell’individuare tali impianti, creando possibili impatti distorsivi sul mercato. Effetti sulla concorrenza sono stati, infatti, rilevati dall’AGCM e dai TAR di alcune Regioni.

In questo quadro, il settore della Forsu in particolare si è trovato ad affrontare diverse criticità, che potrebbero acuirsi di fronte al forte sviluppo impiantistico previsto per i prossimi anni.    

L’art. 21 dell’Allegato A della deliberazione 363/2021 stabilisce che siano da considerare impianti “minimi” quelli presenti sul territorio che:

  • offrono una capacità in un mercato con rigidità strutturali, caratterizzato da un forte e stabile eccesso di domanda e da un limitato numero di operatori;
  • soddisfano anche le seguenti condizioni alternative. Hanno una capacità impegnata per flussi garantiti da strumenti di programmazione o da altri atti amministrativi; sono già stati individuati in sede di programmazione, sulla base di decisioni di soggetti competenti alla chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti.

Nella pratica, l’identificazione degli impianti minimi da parte delle Regioni è stata però molto diversificata. La Regione Puglia, ad esempio, ha incluso tra gli impianti “minimi” quelli per il trattamento della Forsu, sia autorizzati che previsti, la cui capacità copre l’intero fabbisogno regionale, ma anche termovalorizzatori e discariche per la gestione dei rifiuti residui, che coprono il 76% del fabbisogno. L’Emilia-Romagna ha invece identificato come “minimi” tutti i propri impianti di chiusura del ciclo per i rifiuti indifferenziati, corrispondenti a una copertura del 132% del fabbisogno regionale. Ciò ha fatto sì che flussi, in precedenza destinati al mercato, venissero trattati in aree più vicine a quelle di raccolta ma con tariffe meno vantaggiose per i conferenti e dunque per i cittadini.

Proprio all’Emilia-Romagna, ma anche al Friuli-Venezia Giulia, fa riferimento la segnalazione dell’AGCM del 23 dicembre 2022. Nel documento si dice che l’attuazione della delibera di ARERA sia avvenuta “con finalità intenzionalmente protezionistiche per evitare la fuoriuscita di volumi di Forsu dal territorio delle due Regioni”, rimarcando come tali situazioni siano “gravemente lesive della concorrenza in quanto idonee a sottrarre alle dinamiche di mercato l’intera produzione di Forsu regionale”, facendo venir meno “i requisiti del deficit impiantistico o delle rigidità strutturali”. In questo modo, “si crea una disparità di trattamento tra Regioni limitrofe” aventi caratteristiche simili, come Lombardia e Veneto, che non sono caratterizzate da rigidità strutturali, così come Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia, e che quindi non hanno identificato impianti “minimi”. Il sistema degli impianti minimi, secondo l’AGCM, è da preferire al libero mercato solo nelle condizioni stabilite da ARERA all’art. 21 dell’Allegato e “per un tempo limitato al raggiungimento degli obiettivi attesi”.

A gennaio 2023, il TAR dell’Emilia-Romagna ha annullato la delibera 801 del maggio 2022 con cui la Regione aveva individuato i suoi impianti “minimi” di trattamento della Forsu. Tra le ragioni anche la mancanza di benefici economici per l’amministrazione pubblica dal sistema degli impianti minimi, con prezzi superiori a quelli ottenuti da procedure aperte di aggiudicazione.

Mentre la decisione dell’Emilia-Romagna ha censurato l’applicazione della deliberazione 363/2021, la sentenza n. 00486/2023 del TAR Lombardia ha invece attaccato direttamente le fondamenta del sistema. Secondo il TAR Lombardia, infatti, “la disciplina dettata in materia di individuazione di impianti “minimi”, laddove il profilo tariffario è mera conseguenza della regola sostanziale, fuoriesce dall’ambito delle funzioni attribuite dalla norma ad ARERA”. Inoltre, “la disciplina introdotta da ARERA […] si scontra con il riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di rifiuti e ambiente” all’interno della cornice costituzionale.

La decisione ha così annullato la delibera ARERA 363/21, ma anche la deliberazione della Giunta regionale Puglia n. 2251 del 29 dicembre 2021, con cui erano stati individuati gli impianti “minimi” regionali, e la deliberazione del Consiglio regionale della Puglia n. 68 del 14 dicembre 2021 avente ad oggetto “Piano regionale di gestione rifiuti urbani (PRGRU)”. All’inizio di marzo, il TAR Lombardia ha poi emanato una terza sentenza, la n° 0057/2023, per l’annullamento della delibera ARERA 363/2021, rivolta contro la Regione Emilia-Romagna e alcuni dei suoi operatori a partecipazione pubblica.

Nella pratica, il sistema degli impianti minimi per il momento si è quindi fermato. La situazione è comunque in evoluzione e si dovrà attendere la decisione del Consiglio di Stato per vedere se in futuro il sistema degli impianti minimi sarà ripreso. In tal caso, si dovrà tenere conto dell’assetto e delle condizioni di mercato laddove il settore della Forsu dispone già di una capacità di trattamento adeguata.    

La questione degli impianti minimi va peraltro inquadrata nello sviluppo impiantistico previsto, anche alla luce dei finanziamenti del PNRR e degli incentivi per il biometano.

Se da un lato, c’è un significativo potenziale di crescita della raccolta della Forsu nelle aree ancora in ritardo, dall’altro, numerosi sono i progetti per nuovi impianti. Solo in Sicilia e nel Lazio, anche nel caso più prudenziale, si potrebbero raccogliere, rispettivamente, ulteriori 230.000 e 245.000 tonnellate[1]. Tuttavia, i soli progetti presentati per il PNRR (Linea 1.1 B – impianti di riciclo/trattamento RU) relativi alla realizzazione di impianti di trattamento della frazione organica, sono numerosi, circa il 40% del totale rilevato dal WAS. Sebbene solo 28 progetti siano stati ammessi a finanziamento, almeno 10 riguardano la Forsu, per lo più in aree del Centro-Sud, per una capacità aggregata di almeno 300.000 tonnellate. Sarà, inoltre, da vedere quanti dei progetti esclusi dal PNRR saranno comunque realizzati.

Il quadro è dunque complesso, la situazione impiantistica sta mutando velocemente e il sistema degli impianti “minimi” potrebbe risultare obsoleto già nel 2025. In quell’anno solo tre regioni, di cui due nel Centro-Sud, avrebbero ancora un deficit di 60.000 tonnellate ciascuna, contro un surplus di quasi due milioni di tonnellate nelle regioni settentrionali (stime CIC). Il rischio è che il sistema proceda in modo disordinato, tra interventi giurisprudenziali, scelte locali e investimenti guidati dai sostegni statali piuttosto che da una strategia complessiva organica. È necessario trovare rapidamente un equilibrio che, pur nel rispetto delle relative attribuzioni dei diversi soggetti in campo (regolatore nazionale, decisori regionali, policy maker nazionale, imprese) consenta di avere ed attuare una visione unitaria. Questa deve evitare allocazioni distorte di risorse e avere il fine ultimo di migliorare la gestione dei rifiuti riducendo al contempo i costi per i cittadini.


[1] La stima, contenuta nell’ultimo WAS Annual Report, si fonda sul dato medio pro-capite del Nord Italia (130 kg/ab.) ed equivale a un incremento del 17-21% circa rispetto all’attuale raccolta dell’organico.