I materiali difficili: come chiudere il cerchio?

Il settore del waste management europeo si sta muovendo verso il Green Deal, spingendo sull’economia circolare. La strada, in concreto, non è però sempre facile. Da una parte esistono filiere consolidate, come quelle di alcuni materiali di imballaggio, ma che mostrano, comunque, criticità nei mercati e “crisi di crescita” (si veda l’articolo WAS “Quale nuovo equilibrio per le filiere del riciclo?”del 4 maggio 2020). Dall’altra, rimangono ancora materiali che, sia per ragioni tecniche che economiche, faticano ad essere riciclati e, laddove non c’è recupero energetico, devono essere smaltiti. È il caso di diverse plastiche e dei residui dei loro processi di trattamento e selezione.

La raccolta differenziata delle plastiche si è attestata nel 2019 su circa 1,53 milioni di tonnellate, corrispondenti all’8,3% della RD totale, e cresciuta del 12,2% sull’anno precedente (fonte: ISPRA). A dispetto dell’aumento delle quantità raccolte, quelle riciclate restano però piuttosto contenute. Nel 2019, infatti, il tasso di riciclo degli imballaggi in plastica si è attestato al 43%, mentre il 49% è stato inviato a recupero energetico e il resto in discarica. Trovare sbocchi per il “plasmix” è stato particolarmente sfidante negli ultimi anni, con i prezzi per l’invio a recupero energetico saliti dell’82% tra 2016 e 2019 (fonte: Corepla). Si è ricorso anche ad esportazioni verso i cementifici di altre nazioni, per lo più dell’Europa centrale e orientale. In prospettiva i volumi cresceranno ancora. Considerando gli aumenti della raccolta differenziata nel Centro-Sud e Isole, si stima nel 2023 una crescita per il plasmix compresa tra le 300.000 e le 385.000 tonnellate rispetto al 2018 solo in queste aree.

Dal trattamento dei rifiuti non pericolosi, inoltre, si può anche ottenere Combustibile Solido Secondario (CSS), destinato soprattutto a cementifici, ma il cui impiego in Italia resta ridotto. Nel 2019 ne sono state prodotte 1,58 milioni di tonnellate dagli impianti di trattamento meccanico-biologico (TMB), mentre i termovalorizzatori in Italia ne hanno assorbite 944.000. Dati piuttosto contenuti, considerato che il Regno Unito, pur limitato dalla Brexit e dalle tasse all’incenerimento da parte di alcuni Paesi importatori, come Danimarca e Svezia, nello stesso anno ha esportato 2,71 milioni di tonnellate di RDF/SRF. Tra i maggiori ostacoli all’uso del CSS concorrono ancora una volta norme poco chiare, che, tra le altre cose, ne prevedono due tipi: uno che viene considerato rifiuto speciale e l’altro, invece, combustibile vero e proprio.

Implementare misure per aumentare il riciclo della plastica è fondamentale, dato che gli obiettivi europei richiedono che il riciclo arrivi al 50% dell’immesso al consumo entro il 2025 e al 55% entro il 2030. Come risolvere, dunque, il problema di una filiera in cui si ricicla ancora poco?

Innanzitutto, un limite al riciclo è dato dalle caratteristiche eterogenee delle plastiche, le quali includono beni differenti per composizione ed impieghi. Di conseguenza, dagli attuali processi di recupero è possibile ottenere materie prime seconde che, a differenza degli altri materiali, come carta, vetro e metalli, difficilmente presentano la qualità delle materie prime vergini da cui derivano.

Allo stesso tempo, le criticità legate al riciclo della plastica lo rendono spesso economicamente poco sostenibile. La volatilità dei mercati delle commodities accentua queste difficoltà. Un sensibile peggioramento si è poi avuto dal 2018, a seguito dell’introduzione delle limitazioni cinesi all’import. In precedenza, circa il 70% dei rifiuti di plastica statunitensi ed europei era esportato in Cina, soluzione più conveniente rispetto al loro recupero negli impianti domestici. Il drastico calo delle esportazioni in Cina e in altre nazioni che ne hanno seguito l’esempio (tra cui Thailandia, Vietnam e India) ha prodotto un surplus di materiali sui mercati internazionali. Emblematico è addirittura il fatto che, nei primi mesi del 2019, alcune grandi città statunitensi, di fronte al crollo dei prezzi dei materiali, decidessero di interrompere la raccolta dei rifiuti in plastica, destinandoli invece alla termovalorizzazione o alla discarica. La debolezza del prezzo del petrolio e il calo dei consumi dovuto alla pandemia hanno poi reso nel 2020 le materie prime più competitive nei confronti dei recovered material.

Diverse sono però le possibili strategie da mettere in campo, sia a breve che a medio termine: miglior ecodesign dei prodotti, chiarezza normativa sull’end of waste (fondamentale per favorire il riciclo in ogni comparto) e sostegno ai mercati dei prodotti riciclati. La presenza ancora significativa dei TMB in parte dell’Italia dovrà inoltre essere superata. Il vero breakthrough sarà però l’innovazione tecnologica, che permetterà di trovare soluzioni per plasmix e CSS, ad esempio, grazie ai nuovi processi che sta sviluppando NextChem.

La maggior parte delle materie plastiche da RD è oggi sottoposta a processi di riciclo meccanico, che riguardano soprattutto le tipologie omogenee più pregiate, come PET o PE. L’implementazione di modelli di raccolta selettiva potrebbe portare ad un suo ulteriore sviluppo, ma non risolve la questione delle altre plastiche miste.

Nei prossimi anni, dunque, si punta ad affiancare a tali processi il riciclo chimico, che vede oggi lo sviluppo di vari progetti pilota a livello globale, con la discesa in campo anche di player estranei al settore del waste management. Numerosi sono gli esempi. Tra questi, LyondellBasell, attiva nella chimica e nella raffinazione, che nel 2018 ha firmato un accordo con l’Istituto tedesco di Tecnologia Karlsruhe per effettuare ricerche sul riciclo chimico. La società ha annunciato nel 2019 la realizzazione di un impianto pilota a Ferrara. A fine 2020, inoltre, la finlandese Neste, la britannica Recycling Technologies e Unilever hanno avviato una partnership per produrre olio di pirolisi dai rifiuti di imballaggi in plastica, prima destinati all’incenerimento, in un impianto che Recycling Technologies sta costruendo in Scozia.

Il progresso tecnologico deve però essere affiancato dallo sviluppo dei mercati. Alcune grandi aziende del food&beverage (tra le altre, Nestlè, Coca Cola, PepsiCo, Mars e Ferrero) stanno, ad esempio, introducendo percentuali sempre più elevate di MPS plastiche nei propri imballaggi. Ma un consistente ampliamento dei mercati di sbocco delle recovered plastics si potrà avere solo con politiche mirate, come sta avvenendo, ad esempio, in Francia. Da alcuni anni, il Paese ha un articolato sistema di contributi bonus/malus in funzione del materiale di imballaggio, della sua riciclabilità e del contenuto di MPS. Tale modello punta anche ad incentivare l’impiego di quote di materiali riciclati nella produzione, prevedendo, ad esempio, nel caso di imballaggi in PE e PP, un bonus del 50% del relativo contributo se almeno il 20% del loro peso è prodotto a partire da MPS.

In Italia, alcuni passi in avanti si sono fatti con la modulazione del CAC Corepla, avviata nel 2018, mediante l’istituzione di tre fasce contributive sulla base di “selezionabilità”, “riciclabilità” e “circuito di destinazione prevalente dell’imballaggio quando diventa rifiuto”. Rispetto al caso francese, tuttavia, si tratta di un modello piuttosto generale, che ha ancora ampi margini di dettaglio e miglioramento. La Legge di Bilancio 2019, inoltre, ha previsto un credito di imposta per “tutte le imprese che acquistano prodotti realizzati con materiali provenienti dalla raccolta differenziata degli imballaggi in plastica ovvero che acquistano imballaggi biodegradabili e compostabili secondo la normativa UNI EN 13432:2002 o derivati dalla raccolta differenziata della carta e dell’alluminio è riconosciuto, per ciascuno degli anni 2019 e 2020”.

Il quadro italiano pare, tuttavia, ancora molto frammentario e confuso, senza una strategia organica di lungo periodo. L’introduzione di una plastic tax dai dubbi effetti (si veda articolo pubblicato su Staffetta Rifiuti il 4 settembre 2020), si unisce a visioni obsolete, come il perdurare del ricorso al TMB prospettato nella bozza di PNRR. Serve, invece, un quadro strutturato e coordinato di misure coerenti che unisca ambiente e competitività industriale: promozione dell’innovazione, immediati decreti EoW chiari, quote obbligatorie di MPS nei prodotti, GPP concretamente attuato in tempi brevi, fiscalità premiante e non penalizzante.