Fanghi di depurazione, sinergie tra settori e opportunità per il sistema

Il waste management è un settore articolato, trasversale a molteplici attività e sempre più caratterizzato dalla convergenza verso altri comparti. Un esempio evidente di tale evoluzione è la gestione dei fanghi di depurazione. È un comparto essenziale per la chiusura del ciclo idrico, che offre interessanti opportunità, grazie alla possibilità di recuperare nutrienti o energia. Può essere considerato un caso emblematico di economia circolare, ma anche dell’incapacità italiana di trasformare un problema in una concreta opportunità di business e sostenibilità. L’uso dei fanghi, infatti, è in linea sia con la Direttiva 2008/98/CE, che cerca di scoraggiare lo smaltimento in discarica, sia con il “Pacchetto economia circolare”, che punta ad un recupero sostenibile dei fanghi, minimizzando gli impatti ambientali negativi e ottimizzando l’impiego di risorse.

In Italia, la gestione dei fanghi di depurazione è regolata da due norme: il D. Lgs 152/2006 (Testo Unico Ambientale, TUA) e il D. Lgs 99/92, che ha attuato la Direttiva 86/278/CEE sull’uso dei fanghi in agricoltura ed è in vigore da quasi trent’anni. Proprio oggi, 5 marzo 2021, si conclude la fase di consultazione per l’attesa revisione della Direttiva. Il comparto idrico, nonostante i mutamenti favoriti dall’attribuzione ad ARERA della regolazione nazionale, vede ancora varie questioni che impediscono lo sviluppo di una struttura industriale efficiente, capace di adeguarsi ai cambiamenti e di favorire ricadute ambientali ed economiche positive.

In questo quadro, le note carenze del sistema di depurazione italiano si riflettono anche sulla gestione dei fanghi, che non sono un’attività “accessoria” o estranea, ma la chiusura del ciclo idrico. Pur non volendo qui ritornare sulle annose criticità del comparto idrico, va evidenziato come l’assetto ancora incompiuto degli ATO, governi locali restii a rivedere le tariffe e l’elevata frammentazione del settore comportino gestioni e impianti inadeguati che impattano anche sulla fase finale della gestione dei residui della depurazione.

Il grado di copertura nazionale del servizio di depurazione poi è circa il 90%, ma se si considera la capacità degli impianti con il carico inquinante potenziale generabile nel territorio, scende al 57%. Sebbene la grande maggioranza dei Comuni, inoltre, disponga di impianti di trattamento, solo il 44% effettua un trattamento più spinto di quello primario.

Il quadro normativo è complesso ed eterogeneo sul territorio. Il TUA stabilisce che, fino a quando i fanghi restano all’interno dell’impianto di depurazione, la disciplina è quella sulle acque, mentre una volta che questi escono dall’impianto si applica quella sui rifiuti.

Il D. Lgs. 99/92, come detto, regola ancora l’impiego dei fanghi in agricoltura, ma è ormai superato, tant’è che l’UE ha avviato la consultazione sulla direttiva 86/278/Cee. Le norme prevedono che i fanghi debbano essere sempre «trattati» prima di essere usati in agricoltura, con la possibilità che siano introdotte ulteriori limitazioni da parte di Ministero, Regioni e Province. Sono quindi sorte leggi regionali che ne vietano l’uso, hanno prescrizioni più restrittive sulle caratteristiche o prevedono limiti allo spargimento sui suoli.

Ne sono risultate modalità di gestione differenti sul territorio, che spesso hanno generato pressioni sulle Regioni dove sono usati in agricoltura anche fanghi provenienti da altre. Gli interventi della magistratura e le norme regionali, come quella lombarda, più restrittive della Direttiva 86/27/CEE, e connessi contenziosi amministrativi hanno creato instabilità nel mercato e complessità operative, mettendo a rischio la filiera del recupero.

Nel 2017 l’incertezza normativa ha, infatti, portato ad un calo dell’uso dei fanghi in agricoltura, ad un progressivo esaurimento degli stoccaggi per vari impianti di depurazione e alla ricerca di altre destinazioni, con conseguente aumento dei costi. In alcuni casi, lo sbilanciamento tra domanda e offerta ha generato aumenti fino all’80%-100% dei costi di smaltimento. Allo stesso tempo, le soluzioni alternative erano, e restano, limitate dalla presenza di pochi impianti WTE, da un uso ridotto nei cementifici e dall’esistenza di restrizioni per lo smaltimento in discarica. Tra 2019 e 2020, l’ammontare di fanghi recuperati in agricoltura è tornato ai livelli precedenti il 2017, garantendo comunque il servizio di recupero e quindi la diminuzione dei costi.

Lo studio “La gestione sostenibile dei fanghi di depurazione” svolto da Althesys in collaborazione con le associazioni e i maggiori operatori dei settori idrico e dei rifiuti ha evidenziato come sia necessaria una strategia nazionale di medio-lungo periodo, fondata sul criterio europeo della gerarchia dei rifiuti e che tenga conto di una serie di principi chiave.

Innanzitutto, un piano efficace deve sia minimizzare la quantità fanghi e migliorarne la qualità, sia pianificare interventi circa le possibili destinazioni, prevedendo un portafoglio di alternative in una logica di risk sharing. Il miglioramento della qualità dei fanghi dovrà avvenire attraverso il monitoraggio della rete fognaria, grazie a trattamenti per la stabilizzazione biologica, la riduzione degli odori e l’abbattimento dei patogeni. L’art. 127 del D. Lgs. 152/06 stabilisce peraltro che i fanghi debbano essere riutilizzati «ogniqualvolta il loro reimpiego risulti appropriato». Ogni soluzione ha però benefici, vantaggi, criticità e costi differenti, che devono essere valutati in relazione alle specifiche caratteristiche del territorio in cui gli impianti ricadono e alla situazione locale del SII.

Il criterio di prossimità delle destinazionirispetto ai siti di produzione dovrebbe poi essere applicato «caso per caso», con una pianificazione territoriale volta a ridurre i costi di trasporto e le esternalità negative collegate, temperando, almeno in parte, questo principio alla luce di un indicatore di pressione territoriale.

Allo scopo di favorire gli investimenti, è necessario un consolidamento industriale del comparto, che può essere promosso solo con un quadro di regole chiaro e stabile per l’uso in agricoltura, che è oggi lo sbocco principale in Italia. È opportuno che la revisione del D.Lgs. 99/92 definisca criteri aggiornati alle conoscenze scientifiche, completi e di univoca interpretazione, garantendo certezze agli operatori e una gestione in sicurezza dei fanghi. È essenziale una visione integrata idrico-waste-agricoltura, che potrebbe essere favorita nel tempo dalla creazione di una rete di stakeholder (produttori, operatori, utilizzatori e imprese agricole di trasformazione), anche in vista di marchi di qualità, così come quella di un tavolo permanente di coordinamento tra istituzioni nazionali e territoriali.

Una migliore gestione dei fanghi potrà essere promossa dallo sviluppo tecnologico e dall’innovazione, anche grazie alle possibilità offerte dal PNRR. A cavallo tra i due comparti acqua-rifiuti, i fanghi potrebbero infatti beneficiare sia degli investimenti per il settore idrico (proposti da Utilitalia per 14 miliardi di euro), con possibili progetti relativi al miglioramento dei processi di depurazione, sia dei 4 miliardi per quello ambientale, con la realizzazione di nuovi impianti per il riciclo e la valorizzazione dei fanghi.