Made in Italy Green: il contributo di Althesys.

ENERGIE GREEN IN CRISI, MA SOLO IN ITALIA.

L’evoluzione del settore delle energie rinnovabili dall’Irex Report 2014
Negli ultimi anni le energie rinnovabili, sulla spinta delle politiche originate dalla Direttiva europea 20-20-20, hanno conosciuto, in Italia più che in altre nazioni, un rapido sviluppo. Recentemente si è però assistito nel nostro Paese a una brusca frenata delle nuove installazioni ed a crescenti difficoltà degli operatori, sia utilities che tecnologici. Nel 2013 gli investimenti italiani nelle rinnovabili sono, infatti, calati sensibilmente. L’Irex Annual Report evidenzia che nell’anno sono stati realizzati investimenti utility scale per 7,8 miliardi di euro, 2,3 in meno rispetto a quello precedente, con 5.832 MW installati contro i 7.729 del 2012. In totale nel 2013 sono state mappate 204 operazioni, delle quali la realizzazione di nuovi impianti o progetti costituisce ancora la maggior parte (42%), ma in calo del 17% rispetto all’anno precedente. Seguono le acquisizioni con il 27% e gli accordi di fornitura con l’8% (Figura 1).

fig 1A fronte del calo dei nuovi impianti del 41%, gli investimenti italiani all’estero hanno costituito il 66% della potenza complessiva mappata. La crescita interna assomma a 2.484 MW, dei quali oltre tre quarti costruiti all’estero. Insomma, mentre in Italia vi è stata una forte contrazione, in molti Paesi nel mondo le rinnovabili hanno continuato a crescere. I Paesi emergenti, soprattutto America latina ed Asia, sono stati i protagonisti. I grandi gruppi energetici, anche italiani, sono stati i principali attori di questi investimenti, sostituendo in parte le pure renewable.

Il quadro internazionale
Nel mondo gli investimenti nelle energie rinnovabili sono ammontati a 214 miliardi di dollari nel 2013. In particolare, i 50 maggiori operatori globali, analizzati nell’ultimo Irex International Report, hanno realizzato operazioni per un valore complessivo di 83,3 miliardi di dollari, la maggior parte dei quali è stata destinata a investimenti in nuova capacità produttiva, con 280 impianti utility scale per un totale di 30,1 GW e con un costo di 69,4 miliardi di dollari.
Sebbene la gran parte dei nuovi impianti sia ancora installata in Europa, l’analisi mostra un ruolo sempre più importante dei mercati emergenti, pari al 31,5% delle operazioni e al 29,3% dei megawatt di capacità installata. Il 50% delle operazioni di fusione e acquisizione sono nel solare.
L’industria eolica, in particolare, è sempre più globale, con investimenti crescenti nei Paesi emergenti. È la prima volta infatti che l’importo degli investimenti in questi Paesi ha superato quello nelle nazioni industrializzate. I tassi di crescita più elevati si registrano in America Latina, Asia e Europa orientale. In Cina, in particolare, la produzione eolica è aumentata più dell’energia generata con il carbone e per la prima volta ha superato quella prodotta dal nucleare.
Un indicatore chiave dello sviluppo futuro è il modo in cui le aziende leader – soprattutto negli Stati Uniti e in Europa – hanno spinto sull’innovazione tecnologica. Un po’ a sorpresa, le imprese occidentali hanno investito molto di più di quelle asiatiche. Le spese aggregate 2012 in Ricerca e Sviluppo fatte dalle imprese statunitensi ed europee sono state di circa 2 miliardi dollari, cioè il 12,6% dei ricavi, contro i 486 milioni di dollari e 4,5% dei ricavi investiti in Cina e nei Paesi asiatici. L’industria occidentale ha, cioè, investito in R&S quasi il triplo di quella orientale.
I produttori occidentali hanno puntato molto sull’innovazione, in particolare per aumentare l’efficienza delle celle fotovoltaiche e delle turbine eoliche; in altre parole sulla qualità e non la quantità dei prodotti. Le aziende fotovoltaiche asiatiche, invece, hanno cercato di competere con grandi volumi produttivi e prezzi bassi.
L’insieme di queste strategie sembra aver pagato. Nel 2014 tali scelte hanno infatti aiutato molte imprese a imboccare la via della ripresa: la maggiore efficienza, la riduzione della sovraccapacità e lo spostamento verso mercati caratterizzati da forti investimenti nelle energie rinnovabili stanno dando buoni risultati in termini di crescita dei ricavi e di ritorno alla redditività.

In Italia il settore si sta consolidando
In questo quadro, di crescita internazionale e di crisi interna, in Italia il settore sta vivendo un processo di consolidamento, con un aumento della concentrazione e il rafforzamento dei maggiori operatori a discapito di quelli minori e più fragili. Nel 2013 le acquisizioni sono cresciute del 27% rispetto al 2012. La crescita esterna è aumentata del 16% nel 2013, arrivando a quasi 2,9 miliardi di euro. Per la prima volta l’attività di M&A nelle rinnovabili ha superato gli investimenti in nuovi impianti in Italia.
Nel complesso delle operazioni, i player più attivi sono ancora le pure renewable, sebbene in calo dell’11% rispetto al 2012, soprattutto a causa della diminuzione degli investimenti in crescita interna. Consolidano la loro posizione i grandi player energetici, molto attivi in particolare negli investimenti in nuovi impianti nei Paesi emergenti. In deciso aumento sono gli investitori finanziari, che raddoppiano il loro peso rispetto al 2012. Sono, infatti, le società d’investimento specializzate nelle rinnovabili e gli infrastructural fund i principali protagonisti della crescita del mercato secondario degli impianti, soprattutto nel fotovoltaico. Aumenta il peso dei player tecnologici, impegnati in crescenti investimenti internazionali, mentre diminuisce la quota degli installatori, in genere più focalizzati sul mercato domestico. Sempre più marginali sono le local utility e gli operatori esterni al comparto energetico (Figura 2).

fig 2

La crisi del settore elettrico
Il rallentamento delle energie rinnovabili in Italia si colloca, tuttavia, nel quadro di un settore elettrico in forte difficoltà, con i conti economici di molte imprese non più sostenibili e con l’annunciata chiusura di molti impianti. Questa situazione è il risultato di una “tempesta perfetta”, dove la congiuntura economica negativa, che ha ridotto la domanda elettrica, si è unita ad una crescente sovraccapacità produttiva dovuta a forti investimenti nell’ultimo decennio, prima nel termoelettrico alimentato a gas, poi nella rinnovabili, soprattutto fotovoltaico. Gli impianti a ciclo combinato a gas sono cresciuti anche quando era già palese il calo della domanda. Dal 2001 al 2012 sono entrati in funzione 38,2 GW termoelettrici rispetto ai 18,2 GW di impianti a fonti rinnovabili. Dal 2007, ultimo anno prima della crisi, al 2012 la potenza dei cicli combinati è cresciuta del 42,5% mentre la domanda è scesa del 3,8%, con un dimezzamento del load factor (Figura 3). La crescita delle rinnovabili ha dunque inciso sull’eccesso di offerta, ma è solo uno dei molteplici fattori e, probabilmente, non il più rilevante.
Peraltro, la loro crescita impetuosa, seppur talvolta disordinata, ha portato anche una serie non trascurabile di benefici.

fig. 3

Le ricadute economiche delle energie rinnovabili
Le energie rinnovabili hanno innanzitutto ridotto il prezzo di mercato dell’energia. Gli studi in questo senso in Italia e all’estero sono ormai molteplici e, seppur con metodologie e risultati differenti, indicano tutti un effetto di abbassamento dei prezzi dell’elettricità. Stimato nell’Irex di Althesys fin dal 2011, nel 2013 questo effetto si è rafforzato, passando per il solo fotovoltaico dai 400 milioni del 2011 agli 848 del 2012 al miliardo del 2013. Significa 15-21 €/Mwh nel PUN 2013, cioè fino all’84% della differenza di prezzo con la Germania, dove – come è noto – il costo dell’elettricità è inferiore. Ma a dispetto dei luoghi comuni, la “verde” Germania ha costi bassi grazie al largo uso di carbone e lignite. Il fenomeno nel 2013 rispetto al 2011 in Italia vale quasi due miliardi e se i prezzi dell’energia elettrica in futuro dovessero risalire sarebbe ancora più elevato.
Ma questo è solo uno degli effetti positivi delle rinnovabili. Il bilancio tra il costo degli incentivi (prima dei tagli previsti dagli ultimi provvedimenti del 2014) e i benefici delle rinnovabili dal 2008 al 2030 ha un saldo positivo tra i 18,7 e i 49,2 miliardi di euro (fonte: Irex). Il calcolo comprende una pluralità di voci: gli effetti sull’occupazione e sul Pil, la riduzione delle emissioni, l’indotto, la diminuzione del fuel risk. Nell’analisi costi-benefici di Althesys la riduzione del PUN attribuibile al fotovoltaico equivale a poco più del 30% della spesa per gli incentivi. Più o meno la stessa incidenza che stima un recente studio del CNR, che valuta in 4,6 miliardi di euro il risparmio ascrivibile al fotovoltaico nel periodo 2010-2013. Ma un contributo non trascurabile arriva anche dall’eolico.
Sebbene nascano per obiettivi ambientali, le rinnovabili comportano, dunque, una serie di “effetti collaterali” in larga parte positivi. Oltre a portare alla riduzione dei prezzi sui mercati elettrici, un aumento delle rinnovabili nel fuel mix contribuisce alla sicurezza della fornitura energetica nazionale, riducendo la dipendenza dalle fonti fossili e dalle importazioni. Consistenti sono, poi, le ricadute economiche dirette e indirette sul sistema Paese, sviluppando indotto sul territorio e di conseguenza generando ricchezza e occupazione.
Nel 2013 le ricadute economiche delle rinnovabili in Italia sono stimate in circa 6 miliardi di euro. Questa analisi riguarda solo i profili strettamente economici, calcolando il valore aggiunto diretto degli operatori del settore, i consumi indiretti (generati dai salari percepiti dai relativi addetti) ed il valore aggiunto relativo alle imprese fornitrici o clienti del settore delle rinnovabili (indotto). La stima ha considerato le diverse fasi della catena del valore (fabbricazione di tecnologie e componenti, progettazione ed installazione di impianti, finanziamento, esercizio e manutenzione) e dieci diverse tecnologie, elettriche e termiche (fotovoltaico, eolico on-shore e off-shore, mini idroelettrico, geotermia, biomasse, solare termico, teleriscaldamento, pompe di calore, caldaie a pellet), come schematizzato nella Figura 4. Inoltre, gli occupati complessivi del settore delle rinnovabili ammontano a circa 64.000 unità nel 2013. Di questi, circa 50.200 sono impiegati diretti nel comparto, mentre le restanti 13.800 unità costituiscono gli addetti indiretti.

fig 4In prospettiva, i benefici saranno ancora maggiori. Al 2030 si sono stimate ricadute per le rinnovabili nel loro complesso comprese tra i 135,9 e i 174,6 miliardi di euro a seconda degli scenari di crescita. Le ricadute occupazionali (dirette ed indirette) al 2030 sono stimate in circa 75.100 unità nello scenario più prudente, contro le 102.360 unità dell’ipotesi più ottimista, con una differenza a favore di quest’ultima di circa 27.000 addetti.
E non si dimentichi che le rinnovabili porteranno anche cospicui benefici ambientali. Al 2030 contribuiranno alla riduzione delle emissioni di CO2 rispettivamente per un miliardo e 1,2 miliardi di tonnellate nello scenario prudente ed ottimista.

Una nuova strategia per le energie green
Le rinnovabili sono quindi un motore di creazione di valore per il Paese; valore che tuttavia i policy maker spesso faticano a percepire. Ne risultano politiche incerte o poco chiare. In alcuni casi si concepiscono addirittura provvedimenti penalizzanti, che non solo distruggono valore per le imprese e gli investitori, ma causano anche effetti negativi sull’intero sistema economico e sociale. In Italia, ad esempio, il recente decreto cosiddetto “spalma incentivi” ha avuto un impatto fortemente negativo sulle società pure renewable quotate, come evidenziato dal confronto tra l’indice italiano Irex e i principali indici settoriali internazionali (Figura 5). In coincidenza con la prospettiva di emanazione del provvedimento, la capitalizzazione delle imprese italiane è crollata, a fronte di un andamento ben diverso degli altri mercati internazionali.

fig 5Il fotovoltaico è stato particolarmente penalizzato e la redditività degli investimenti negli ultimi anni è calata bruscamente. I ricavi sono infatti scesi più rapidamente dei costi della tecnologia e del capitale. Il differenziale costi-ricavi è pertanto diventato sensibilmente negativo, come evidenziato nella Figura 6 che riporta la tabella relativa alla differenza tra LEOE e LCOE.
Le rinnovabili costituiscono, quindi, una filiera con rilevanti ricadute economiche ed occupazionali nel nostro Paese. Anche in prospettiva il loro ruolo sarà rilevante e la loro integrazione nel sistema elettrico sarà un punto chiave nella revisione del disegno di mercato nel prossimo futuro. In particolare, lo sviluppo della generazione distribuita, sopratutto fotovoltaica, con l’affermarsi del prosumer model, e la diffusione dei sistemi di accumulo comporteranno una profonda trasformazione dell’intero settore elettrico. In questo quadro, l’evoluzione del modello dei Sistemi Efficienti di Utenza (SEU) e la prospettiva dei contratti di lungo periodo potranno incidere sulla struttura stessa del mercato elettrico.
E’ quindi sempre più necessario definire una strategia nazionale per l’energia e in particolare per un settore come quello delle rinnovabili con forti impatti sul sistema economico italiano. Non servono misure affrettate, come purtroppo è avvenuto finora; c’è bisogno di una politica di medio-lungo periodo, basata su alcuni pilastri fondamentali, tra i quali:

– accelerare la costruzione delle infrastrutture di rete. Le congestioni di rete in alcune zone fanno salire il costo per tutto il Paese (20 €/MWh nel 2013 la differenza di prezzo per l’inadeguata connessione della Sicilia); ugualmente la mancanza dei rigassificatori accentua il rischio sulle forniture di gas;

fig 6–  maggiori interconnessioni tra le nazioni europee per favorire il market coupling e gli scambi internazionali, bilanciando, per quanto possibile, i diversi fuel mix e i differenti carichi delle varie nazioni;
– ridisegnare i mercati elettrici e i meccanismi di formazione dei prezzi, favorendo una equilibrata integrazione delle fonti rinnovabili;
– favorire la definitiva dismissione di impianti obsoleti, o comunque, meno efficienti e competitivi, promuovendo quelli più moderni e flessibili.
Sono solo alcuni punti, con tempi e complessità di attuazione assai diversi. Ma è evidente che interventi di corto respiro senza un disegno organico non risolveranno problemi che sono strutturali. In compenso comprometteranno la stabilità di alcuni settori, la credibilità complessiva dell’Italia e le sue possibilità di uscire dalla crisi.
In conclusione, serve una politica per le energie green chiara, stabile e di lungo periodo, che permetta di concretizzare il consistente potenziale ancora disponibile, date anche le cospicue ricadute economiche ed occupazionali che potrebbe portare.